Sempre più, e anche grazie tramite i social, i ragazzi tra i 19 e 30 anni (e più) stanno facendo sentire la loro voce (a volte più flebile) di un senso di inadeguatezza che può prendere forme più o meno ingravescenti e talvolta anche patologiche. È l’età definita dallo psicologo Jeffrey Arnett dell’emerging adulthood” ovvero del “giovane adulto” che più che essere un intervallo tra l’adolescenza e l’adultità prende le forme di una vera e propria fase di vita.
Se Erickson aveva individuato per ogni fase del ciclo di vita delle diverse sfide e compiti di sviluppo… Quali sono le sfide di cui si fanno portatori i giovani adulti?
Nuove domande di senso
Nella stanza di terapia incontro ragazzi che, in età universitaria o dei primi lavori pagati (poco), si interrogano su come prendere il loro posto del mondo senza per forza rimetterci in salute mentale, cosa del quale sono molto consapevoli e decisi. Le domande di senso riguardano la generatività del proprio Sé: sono adeguato per amare? Sono adeguato per lavorare? Posso farcela anche io?
“i giovani d’oggi” spesso descritti con un tono paternalistico, a ben vedere si fanno domande sullo spazio reale che possono prendere nella società capitalistica senza scendere a patti con l’ansia da prestazione sulle relazioni e sul lavoro.
Il diritto alla fragilità
Le caratteristiche di questa fase di vita hanno come comun denominatore il tema dell’incertezza che, a ben vedere, permette di farsi le domande più grandi.
Non sono più adolescenti, non sono ancora adulti. Il nido familiare sta stretto, ma ancora non se ne può far a meno. L’esplorazione della propria identità prosegue col percorso universitario a volte incerto, che allunga i tempi di entrata nel mondo del lavoro. Anche in amore si sentono in bilico: l’incertezza di una posizione lavorativa influenza anche l’uscita di casa col compagno o la compagna, rimandando di ancora qualche tempo il proprio progetto di vita.
In questa fase, che dura circa un decennio, c’è tutta la fatica di trovare il proprio posto nel mondo. E intanto, con poche certezze, ci si sente fragili. E, giustamente, i ragazzi se ne prendono il diritto.
La famiglia: nido caldo o trampolino di lancio?
Nel corso degli ultimi decenni abbiamo assistito al tramonto della famiglia tradizionale e normativa a favore di una maggiore complessità (ma non per forza problematicità): famiglie monoparentali, ricomposte, allargate… I valori alla base della relazione genitoriale son cambiati: la famiglia del giovane adulto pone in primo piano l’affettività rispetto alle regole, facendo della felicità e della realizzazione il valore più importante. I figli sono al centro delle attenzioni genitoriali, per le quali è molto importante avere bassi livelli di conflitto ed un clima caldo e affettivo. L’oppositività ed il conflitto, necessari agevolare i processi separativi tipici dell’adolescenza e post-adolescenza, sono smorzati dalla sensazione che se si confligge si perde il legame, Ciò può provocare nel ragazz* lo sforzo non voler deludere le attese genitoriali.
È una svolta rispetto all’educazione improntata sul rispetto della regola e sulla punizione, ma se non adeguatamente bilanciato dall’autorevolezza genitoriale, può portare i giovani adulti sviluppare un’insicurezza radicale della propria identità ostacolando l’assunzione di responsabilità.
L’investimento dei genitori sui figli è tale che, se i figli stanno male, mamma e papà possono sentirsi inadeguati, delusi o addirittura, arrabbiati. A maggior ragione, la domanda di aiuto del giovane adulto potrebbe assomigliare ad una bomba ad orologeria. Verrà accolta? Mi ascolteranno?
La famiglia invece che essere il trampolino di lancio, talvolta diventa il nido al quale il giovane adulto può ricorrere ogni qual volta l’incontro col mondo è fonte di delusione e frustrazione.
Paura di sbagliare?
Mettere il naso fuori di casa provoca necessariamente il confronto con le aspettative interiorizzate di realizzazione del Sé con la realtà sociale che manda messaggi contrastanti: da una parte la difficoltà di una stabilità economica, dall’altra la sensazione di dover essere prestanti, di portare risultati veloci e visibili.
Emozioni come la vergogna, la paura, sintomi ansiosi e depressivi sono il campanello d’allarme che informano di qualcosa che non va. Bisogna ringraziare l’esistenza di questi, poiché segnalano la presenza di un disagio in corso che deve essere ascoltato e preso in carico. Non ascoltare questi vissuti può portare i ragazzi ad isolarsi, a sentirsi marginali e inadatti ad affrontare il mondo sociale, relazionale ed economico attuale.
La paura del fallimento e di disattendere agli standard sociali perfezionistici blocca le energie vitali in un loop di sentimenti di inadeguatezza che possono diventare anche patologici.
Il coraggio di fare il check-point
Nel check-point, nella richiesta di aiuto ad una figura professionale della salute mentale (psicologo, psicoterapeuta, psichiatra) è possibile fermare i pensieri e depositarli in una relazione che aiuta a restituire un ordine ed un senso a quello che sta accadendo nella vita del ragazz*. Lo spazio di terapia può anche essere un luogo neutro nel quale vengono invitati i familiari in quanto persone significative per il giovane adulto. Si possono guardare insieme quelle dinamiche relazionali che possono legare il giovane adulto alla famiglia, o anche operare il contrario: ritrovarsi insieme per parlare anche di quello che non c’è stato.
Il processo di individuazione del giovane adulto è un viaggio unico e a tratti complesso, fatti di balzi in avanti e di battute di arresto. Essere consapevoli delle sfide di oggi dal punto di vista economico e sociale, può rendere lo sguardo dell’adulto più sensibile alla richiesta di aiuto del ragazz*. La relazione è l’unico gancio sicuro dal quale il giovane adulto può attingere forza e portare i suoi dubbi!
Ogni tanto magari può essere aiuto fare il check-point, affinché il giovane adulto possa diventare consapevole della propria dignità al di là del successo e del fallimento, per gettarsi nel futuro con rinnovata fiducia e perché no, anche con speranza!
Anna Cavedon – Psicologa